
Il principio che vi sta alla base, ovvero l’insistita ripetizione di una particolare preghiera (nella fattispecie l’Ave Maria) è peraltro riscontrabile anche in altre religioni, come ci ricorda per esempio il termine sanscrito “Japa” che, in Oriente, designa la ripetizione (mentale o ad alta voce) di un nome divino o di una formula sacra (mantra)... e quando questa orazione è celebrata con l'ausilio dei grani del “japa-mālā” (in sanscrito “mālā” significa “ghirlanda”)... essa costituisce l’equivalente induista del Rosario cristiano.
Da Oriente ad Occidente, l’esperienza religiosa ha visto dunque consolidarsi questa forma ripetitiva di preghiera che... nel caso specifico del Rosario... è un po' come una ghirlanda di rose-orazioni che ciascuno di noi può presentare alla Madre di Cristo, affinché interceda per le nostre necessità.
Va da sé che questo “roseto” si mantiene florido… solo quando la propria preghiera germoglia in un “clima” di fede e devozione.
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P.S. - Puoi approfondire questo argomento nel mio blog “Un mio viaggio nel Soprannaturale, sulle impronte di Swami Roberto”, nel post “Mente e suono che si fanno preghiera”.