giovedì 8 novembre 2018

La mia « amrita »...

« Om asato mā sad gamaya, (Dall'irrealtà conducimi alla realtà)
tamaso mā jyotir gamaya, (dalla tenebra conducimi alla luce)
mṛtyor mā amṛtaṃ gamaya, (dalla morte conducimi all'immortalità.)
Om shanti shanti shanti»
(Brihadâranyaka Upanishad I, 3,28)

Questa antica preghiera sanscrita di purificazione, nota come “Pavamana mantra”, dà voce all'anelito del credente rivolto alla vera esistenza (sat), che è conseguita da quanti raggiungono la luce (jyoti) divina che fa fuggire ogni tenebra, interiore ed esteriore.
L'aspirazione all' “immortalità” (In sanscrito “amrita”) che vi è custodita, non va pertanto proiettata al futuro, ma va invece intesa come un superamento della morte da attuare già nel presente mediante la comunione della propria vita interiore con la Vita divina... in una prospettiva che risuona all'unisono con una peculiare concezione teologica che caratterizza il Vangelo di Giovanni.
La possiamo riconoscere con particolare evidenza nel versetto nel quale Gesù annuncia: “Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non incorre nel giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24)*.
Qui il Verbo di Dio è dunque designato come il nutrimento che consente al devoto di passare dalla morte alla vita, ed è proprio questa l' “amrita”, il nettare dell'immortalità, che il mio spirito attinge dal Darshan di Swami Roberto.

* P.S. - Riguardo a questo principio teologico giovanneo, noto come “escatologia attuale”, puoi trovare la relativa voce nel Glossario del mio blog "Sui sentieri del Vangelo di Giovanni".



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