Come, allora, può egli essere percepito se non esclamando “Egli è”? »
(Katha Upanishad VI,12)
Come una sorta di “eco” che giunge dall'Oriente, questo versetto delle Upanishad mi fa pensare alla biblica autopresentazione del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, che definisce Sé stesso “Io sono Colui che sono !” (Es 3,14).
Questa celebre frase, che designa l'Essere di Dio al di là di ogni possibile sua definizione concepita dagli uomini, è peraltro anche un “indicatore” puntato verso la meta spirituale che ciascuno di noi è chiamato a raggiungere.
Infatti, solo se siamo capaci di essere pienamente noi stessi, togliendoci le “maschere” contraddittorie che ci fanno apparire come ci vorrebbe il mondo, riusciamo ad essere come ci vuole Dio, che per bocca di Gesù ci dice: “voi siete dèi” (Gv 10,34).
P.S. - Puoi approfondire questo argomento nel mio “Diario di un monaco”, nei post:
Siamo Uno
“Lievitazione” interiore
Al “settimo cielo”
Pista di approfondimento (nel mio blog "Sui sentieri del Vangelo di Giovanni):
Gv 10,34
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