Tra la miriade di sfaccettature che formano la dimensione della fede, io oggi osservo quella suggerita da un versetto di Giovanni che, durante la mia odierna rilettura di questa pagina del Vangelo, mi è apparso come la "fotografia" di una mentalità assai comune.
L'evangelista scrive che “Gesù rispose loro – cioè alla gente che Lo stava cercando – mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato pani a sazietà” (Gv 6,26).
E' facile constatare come non sia affatto fuori moda questa umana inclinazione... di coltivare una “fede” nella quale l' “interesse” nei confronti delle manifestazioni soprannaturali è legato non al "vedere" il messaggio in esse custodito... quanto invece al beneficio che è possibile ricavarne per soddisfare i propri bisogni materiali.
Per sottolineare questo fondamentale aspetto della realtà, l'evangelista Giovanni descrive l'opera di Gesù parlando non di “miracoli”, ma di “segni” (in greco semeion), usando cioè un termine che custodisce in sé una verità teologica fondamentale:
Il segno è infatti tale perché riveste il ruolo di una sorta di “indice” puntato in un'altra direzione, nel senso che la sua ragione di essere non è il fatto miracoloso in sé... che pure è ovviamente importante... quanto invece il significato spirituale che vi è custodito, e che il fedele è chiamato a comprendere orientando la sua attenzione a ciò che Dio vuole comunicargli.
Per non far parte dei destinatari della denuncia che il Cristo rivolge a quanti Lo cercano solo perché hanno “mangiato pani a sazietà” e aspirano unicamente a poterne mangiare ancora, e poi ancora... è dunque necessario saper compiere un fondamentale passaggio interiore:
Quello da una fede inizialmente legata al segno divino che ha contribuito ad attivarla...
ad una fede che è invece capace di andare oltre il beneficio materiale ricevuto, recependo il messaggio custodito nel segno stesso e quindi ricevendo anche il beneficio che più conta: quello spirituale.
Ebbene... questo brano del Vangelo mi fa oggi venire in mente alcune persone incontrate durante la mia vita religiosa nel monastero di Leinì, le quali... dopo aver conosciuto Swami Roberto ed essersi "saziate" con le grazie ricevute nelle loro vite, o nelle vite dei loro familiari... sono poi rimaste "sorde" al divino "linguaggio dei segni".
Allo stesso tempo, mi vengono però in mente anche molte altre persone che hanno invece saputo comprendere questo linguaggio, ed hanno così potuto costruire, nelle loro vite, l'evangelica fede "sulla roccia".
Sono proprio queste le persone che costituiscono le "pietre viventi" della mia Chiesa, Anima Universale, che è il "Segno divino" della mia vita.