lunedì 16 dicembre 2019

A proposito di preghiera...

Una delle classiche questioni legate alla preghiera, riguarda il “come” pregare.
Fermo restando che la dimensione della preghiera è talmente intima che ciascuno deve scoprire la propria personale maniera di pregare, è anche vero che una indicazione chiara Gesù l’ha data qualche momento prima di insegnare ai suoi discepoli il Padre Nostro quando – racconta l’evangelista Matteo - ha detto loro di non fare come quelli che “credono di venire ascoltati a forza di parole”“poiché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate” (Cf. Mt 6,5-8).
Questa indicazione lascia peraltro spazio ad una domanda:
Perché allora nel Vangelo di Luca ritroviamo invece Gesù che, dopo aver insegnato il Padre Nostro ai discepoli, racconta loro una parabola (cf. Lc 11,5-9) volta ad insegnare quell’insistenza nella preghiera che è tra l'altro “fotografata” dalle celebri parole “Chiedete e vi sarà dato... bussate e vi sarà aperto” ?
Evidentemente, tutto ruota attorno alle modalità di questa insistenza, per cui... se si vuol seguire l’indicazione del Gesù matteano si tratta di un'insistenza che non deve ridursi alla ridondante “verbosità” di quanti moltiplicano le parole interpretando una sorta di preghiera “a cottimo”, come se Dio dovesse essere convinto ad esaudire in maniera maggiore… una maggiore quantità di parole rivolte a Lui.
La “chiave” consiste invece nel rendersi conto che l’insistenza nella preghiera non serve perché cambi “qualcosa” in Dio ma, piuttosto, perché cambi qualcosa in colui che prega il quale, proprio mediante tale insistenza, dedica alla preghiera il tempo che gli è necessario per aprire il suo cuore, per dare espressione alla sua fede e al contempo per “mettere ordine” nel proprio piano interiore, liberandolo da tutto ciò che non c’entra con ciò che ha compreso della realtà di Dio... e quindi purificando la sua intenzione da ogni residuo di egoismo, titubanza, superficialità, ecc. ecc.
Affinché questa purificazione possa compiersi, la vuota e meccanica “ripetitività” deve essere evidentemente sostituita dalla “presenza” consapevole del proprio pensiero la quale, a ben vedere, è ricordata anche dalla parola sanscrita “mantra”… un vocabolo composto dalla radice “man” (da cui il termine manas, da mettere in parallelo col latino mens, “mente”) e dal suffisso -tra (che indica uno strumento)*… ed etimologicamente significa dunque: “strumento per pensare”.

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* P.S: - cf. "Induismo, Spiritualità e tradizione sulle rive del Gange", G.Filoramo (coordinamento e consulenza scientifica), 2005, Laterza/Mondadori, p.30


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