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domenica 6 giugno 2010

Il linguaggio dello Spirito

Stamattina, pochi minuti dopo la fine del Darshan, mi è venuta incontro una persona proveniente dall'isola caraibica della Guadalupa, giunta per la prima volta a Leinì per incontrare Swami Roberto.
Con un viso meravigliato, mi ha raccontato di essere rimasta particolarmente colpita dalle parole di Swami, una chiara e precisa risposta agli interrogativi presenti nel suo animo.
Dopo il Darshan mi trovo spesso a vivere questo tipo di situazione, e sovente accade che, in rapida successione, persone diverse mi esprimono delle sensazioni dal contenuto univoco:  
"Swami Roberto oggi ha parlato proprio per me, mi sono completamente identificato nelle sue parole"...
"Il Maestro ha praticamente descritto la mia vita, mettendo in luce degli aspetti miei caratteristici, che non ho mai confidato a nessuno"...
"Swami ha risposto con precisione alla domanda che avevo nel cuore quando ieri sono partito da casa per venire a Leinì".
Anche oggi, ancora una volta, le parole di Swami Roberto sono state le medesime per tutti... ma nei tutti, "inspiegabilmente", ciascuno ha potuto sentirsi individualmente coinvolto, al punto di pensare che Swami stesse parlando proprio di lui, della sua specifica esperienza di vita, e non di quella di qualcun altro confuso nella folla dei presenti.
Quella che ho vissuto anche oggi è una situazione per me ricorrente che mi richiama "l'aria" della Pentecoste, quel momento lontano nella storia in cui lo Spirito Santo insufflò negli apostoli la capacità di "parlare lingue diverse", trasformando quei primi cristiani negli audaci missionari della buona novella che trasformarono la storia dell'umanità.
"Parlare lingue diverse": non mi viene in mente facoltà più necessaria per superare i muri di incomprensione disseminati tra tante persone che oltretutto, anche quando parlano la stessa lingua, il più delle volte non comunicano tra di loro, perché non si capiscono.
Sul piano spirituale "parlare la stessa lingua del prossimo" non si riduce infatti ad una questione di mera sintonia idiomatica. Si tratta invece della capacità, umanamente ben più ostica, di muovere dei passi su quei sentieri della comprensione reciproca che quasi sempre l'aridità dei cuori trasforma in strade inesorabilmente chiuse.
"Se io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli - scriveva Paolo di Tarso - e non avessi la carità, non sarei che un bronzo sonante o un cembalo squillante. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e se avessi tutta la fede fino a trasportare le montagne e mi mancasse la carità, non sarei nulla" (1Cor 13:1).
Alla presenza di Swami Roberto, io colgo la costante dimostrazione di come essere pieni di Spirito Santo significhi proprio essere animati dal fuoco ardente della carità. Questo è il dono prezioso che permette di parlare "lingue diverse", fendendo le barriere dell'incomunicabilità e toccando i cuori.
Così, quando penso alla Pentecoste, io non penso alla discesa dello Spirito Santo, che è già ovunque e dunque non scende e non sale.
Penso invece alle fiammelle del grande fuoco della carità che si accende nel cuore e nella mente di quanti chiedono l'aiuto del Paraclito, ovvero di Colui che è già in loro, ma che attende di essere invocato per donare il suo "soffio" illuminante.
Questo accade ogni domenica mattina quando, durante i darshan del mio Maestro spirituale, la straordinaria Luce della Pentecoste rifulge ai miei occhi, che vedono tanti cuori ravvivarsi al soffio "poliglotta" dello Spirito di Dio.
Scorgo i riflessi di questa Grazia divina nell'ineffabile carisma con cui Swami Roberto legge negli animi che si rivolgono a lui... per poi pronunciare le parole universali dello Spirito che risvegliano le coscienze giunte a Leinì anche da lontani angoli del mondo.