lunedì 19 ottobre 2015

Al di là della forma... e al di là del tempo

Dopo aver letto il mio “sguardo sul paradiso”, una fedele di un'altra Chiesa cristiana mi ha chiesto di parlarle un po' riguardo all'apparente inconciliabilità tra il “Paradiso-Eternità” concepito oltre i limiti dello spazio e del tempo, e la tradizionale idea cristiana di “resurrezione alla fine dei tempi”... e poi, già che c'era, mi ha anche manifestato alcuni suoi interrogativi riguardo all'argomento “resurrezione del corpo”.
Riassumo in questa pagina del mio diario il dialogo che ne è seguito, e che è iniziato proprio da quest'ultimo punto, visto che le ho subito messo in evidenza come tale questione abbia generato dibatti e divergenze sin dagli albori del cristianesimo.
Ho infatti cominciato con il parlarle di Paolo di Tarso, generalmente citato come un paladino del concetto di “resurrezione del corpo”.
« All'interno delle tredici lettere a lui attribuite – le ho ricordato ad un certo punto – ci sono anche dei passaggi nei quali compare la posizione opposta, come quando lui dice  “sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo (...) siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore” (2Cor 5,6-8)oppure quando afferma “Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l'incorruttibilità” (1Cor 15,50) ».

Le ho poi precisato che se anche il “Credo apostolico”, cioè la professione di fede cristiana di inizio III secolo, usava la formula “risurrezione della carne” (peraltro già “ammorbidita” poco tempo dopo nella dicitura “risurrezione dei morti” del Credo niceno-costantinopolitano)... in realtà l'idea di una tradizione cristiana sostenitrice “in blocco” del concetto di “resurrezione del corpo” è un luogo comune smentito dalle evidenze storiche.
« La cristianità dei primi secoli - ho proseguito - oscillò sempre tra la prospettiva della "resurrezione del corpo" e quella dell'"immortalità dell'anima", la quale ebbe largo spazio nell'elaborazione teologica patristica a fronte anche di alcuni brani biblici che chiaramente parlavano in favore dell'anima immortale ».
Le ho allora citato il Libro della Sapienza nel quale si possono leggere queste parole attribuite a Salomone "Ebbi in sorte un' anima buona o piuttosto, essendo buono, ero entrato in un corpo senza macchia" (Sap 8,19-20)... e anche, in un altro passaggio “Un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla opprime una mente piena di preoccupazioni” (Sap 9,15) .
“Si' – mi fa lei – pero' questo è un libro biblico influenzato dalla filosofia greca, e bisogna quindi prenderlo con le pinze”...
“Non la pensavano come lei – le ho detto allora – coloro che lo hanno inserito nella Bibbia cristiana, ritenendo evidentemente che i suoi contenuti fossero confacenti agli sviluppi teologici in atto”.

Ho poi continuato accennandole al fatto che alcuni studiosi del settore parlano di “platonismo cristiano” in riferimento alle elaborazioni teologiche dei pensatori cristiani antichi e autorevoli che concepivano la meta ultima dell'essere umano sul piano dell'immortalità dell'anima, e che sono in fondo gli “antenati” dell'attuale Pensiero escatologico della Chiesa Anima Universale, fondato sugli insegnamenti spirituali di Swami Roberto:
“Nel Pensiero teologico della nostra Chiesa – ho poi continuato – è l'individualità spirituale, unica ed irripetibile, che è destinata alla Vita eterna, al termine di un percorso terreno che può svolgersi anche in più incarnazioni, sempre in una progressione evolutiva”.

Pur seguendo queste argomentazioni, la mia odierna interlocutrice osservava che comunque questa prospettiva di vita eterna esclusivamente spirituale non le sembrava attestata dai Vangeli...
“In realtà – le ho detto allora – al riguardo ci sono passaggi significativi... a partire dal semplicemente chiaro “Dio è spirito” (Gv 4,24), che non lascia evidentemente spazio all'idea che l'unione con la Sua Realtà eterna possa avvenire su piano corporeo... come fa intendere anche il Gesù di Marco dicendo “Quando risorgeranno dai morti (...) saranno come angeli in cielo” (Mc 12,25).

A questo punto, il dialogo è poi proseguito in direzione dell'altro aspetto “all'ordine del giorno”, richiamato proprio dalle parole di Gesù “quando risorgeranno dai morti” che parlano di un tempo futuro... e che hanno spinto la mia interlocutrice a chiedermi:
“Appunto: come si possono conciliare queste parole con il concetto di “Paradiso-eternità” svincolato dal tempo?”.

Dopo averle detto che il linguaggio di Gesù si adattava ai contesti culturali nei quali si trovava a parlare, che potevano essere più o meno legati alla tradizione ebraica... le ho ricordato un episodio che permette di capire come Lui la pensasse al riguardo, cioè quello della resurrezione di Lazzaro, nel quale si rivolge a Marta dicendole:  
« “Tuo fratello risorgerà”. 
Gli rispose Marta: “So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno”. 
Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” ». (Gv 11,23-26)
Poi ho continuato dicendole « Qui Gesù non parla certo di una resurrezione dei morti procrastinata nel tempo, come pensava Marta conformemente all'idea giudaica tradizionale; Lui si riferisce invece a quanti aderiscono al Suo messaggio (“chi crede in me”), assicurando loro una qualità di vita capace di superare la fine della vita biologica. In questa prospettiva, la risurrezione di Lazzaro diventa simbolo di questa risurrezione per la Vita eterna che ciascuno è chiamato a conquistare nel presente della propria esistenza».
Lo svilupparsi del discorso mi ha dunque portato ad entrare un po' più nel merito di un fondamentale concetto teologico custodito in particolare nel Vangelo di Giovanni:
« La “Vita eterna” di cui parla Gesù – le ho detto allora – non è la vita che viene dopo la morte, ma è la Vita divina che è possibile conseguire da subito grazie all'ingresso nella vita spiritualmente vera, che l'evangelista chiama "zōē"... distinguendola dalla semplice vita biologica, definita per l'appunto "bios", che rimane circoscritta nei limiti materiali della corporeità fisica...  ».

Notando che lei portava con sè il libro "Gesù di Nazareth" scritto da Papa Ratzinger, l'ho invitata ad andare a leggersi un passaggio significativo proprio riguardo a questo argomento:
« L'espressione "vita eterna" non significa - come pensa forse immediatamente il lettore moderno - la vita che viene dopo la morte, mentre la vita attuale è appunto passeggera e non una vita eterna. 
"Vita eterna" significa la vita stessa, la vita vera, che può essere vissuta anche nel tempo e che poi non viene più contestata dalla morte fisica. È ciò che interessa: abbracciare già fin d'ora « la vita » , la vita vera, che non può più essere distrutta da niente e da nessuno ». (Papa Benedetto XVI, "Gesù di Nazareth")


« Come lei avrà capito da quanto le ho detto in precedenza - ho infine concluso - alla luce del Pensiero spirituale cristiano-ramirico io comunque traggo da questo principio evangelico di "vita eterna" delle conseguenze che sono incompatibili con le elaborazioni teologiche cattoliche riguardo alla resurrezione dei "corpi" (in una forma imprecisata) alla fine dei tempi.
Per il cristianesimo ramirico, la pienezza della "vita eterna" si realizza al di là della forma... e al di là del tempo ».

Ho poi salutato la mia odierna interlocutrice, anche se alcuni suoi interrogativi a voce alta riguardo al “purgatorio” sono rimasti in sospeso, perché non c'era il tempo materiale per affrontarli.
Chissà... magari ci saranno altre puntate.


Puntata successiva: Alcuni "passi" nel Purgatorio


Torna all'indice: "Autoscatti sulla mia fede"