Gesù amava definirsi così... e questa Sua predilezione mi fa pensare, per contrasto, ad una particolarità della Bibbia cristiana:
L'espressione “Figlio dell'uomo”... che compare per oltre ottanta volte nelle pagine dei 4 Vangeli... quasi scompare nel resto del Nuovo Testamento al punto che, per esempio, nelle sue lettere Paolo di Tarso non definisce mai Gesù "Figlio dell'uomo".
In controtendenza rispetto a questa “abrogazione” paolina, vi sono unicamente lo sporadico cenno presente negli Atti degli apostoli sulla bocca di Stefano (At.7,56) (oltretutto proprio mentre viene lapidato al cospetto del “giovane Saulo”-Paolo di Tarso)… e poi i due significativi passaggi contenuti nell'ultimo dei Libri biblici, l'Apocalisse, dove Giovanni riprende l'espressione cara a Gesù quando scrive che ha la visione di “uno simile a un Figlio d'uomo” (Ap 1,13)… il quale poi gli ricompare anche nella visione della gloria dei tempi messianici (Cfr. Ap 14,14).
Ebbene... se si rimane nel solco tracciato dai Vangeli e dall'Apocalisse giovannea... si può "riascoltare" ciò che Gesù diceva di Sé stesso pronunciando le parole aramaiche “Bar enash”... cioè l'espressione “Figlio dell'uomo” così com'è scritta nel Libro di Daniele (Dn 7,13).
Pensando dunque al fatto che il Cristo... che è il “volto” di Dio in questa dimensione... nasce nella carne manifestandosi come “uno simile a un figlio d'uomo”... si può anche "respirare" la fondamentale caratteristica del Suo Natale:
E' proprio mostrandosi nella pienezza della Sua umanità, da Lui vissuta alla maniera divina, che Cristo “bussa” alla porta dell'umana incredulità... per nascere nella “Grotta interiore" di quanti decidono di farLo entrare nella propria vita.
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