Confrontandolo con l'analogo principio presente nella tradizione ebraica, dove l'affermazione divina "Io sono" (Dt.32,39a) veniva resa con la parafrasi "Io sono colui che è, che era e che sarà” (Targum P.Jonatan)... a prima vista si potrebbe pensare che tra queste due espressioni non ci sia chissà quale differenza... ma non è così:
Diversamente dall'ebraico "che sarà"... riferito alla rivelazione di Dio alla fine dei tempi... il“che viene” dell'Apocalisse ci parla infatti di un Dio che incessantemente “fa nuove tutte le cose” (Ap.21,5) e che, pertanto, non ammette che ci si possa limitare ad aspettare una Sua rivelazione relegata al futuro, vivendo in un'attesa che vincoli il presente ("che è") al bagaglio delle “cose vecchie” ereditate dalla tradizione ("che era").
Questo fu in realtà l'errore commesso dal popolo di Israele quando, come ci ricorda Giovanni nel suo Vangelo, il Verbo venne “fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv.1,11).
La novità di Cristo incontrò infatti un mondo religioso che... vivendo l'attesa del “Dio che sarà” in maniera "cristallizzata" sul passato... non poteva concepire l'incessante “novità” dell'Immanuèl (Mt.1,23), il Dio “che viene” tra noi nel Cristo... il quale, evidentemente, contraddiceva l'immagine messianica tradizionale.
Ebbene... la tentazione di pensare religiosamente con i parametri stereotipati dell'antico, rifiutando per conseguenza il Dio che fa“nuove tutte le cose” (Ap.21,5), è una inclinazione che ha resistito, inossidabile, al passare dei secoli.
Basti pensare, per esempio, a quanto fossero rimaste ancora inascoltate all'epoca di Gesù le pur chiarissime parole profetiche di Isaia:
“Non ricordatevi delle cose passate, non pensate più alle cose antiche. Ecco, io faccio una cosa nuova: essa già sta sorgendo, non la notate?" (Is. 43,18-19)
Ma, fatto ancor più grave, basti pensare a come questa mentalità abbia saputo “resistere” fino ad oggi, ripresentandosi in quei cristiani che, attribuendo validità soltanto a ciò che è "antico", continuano a vivere una fede "antiquata", fossilizzata nel passato... incapace di riconoscere l'incessante novità del Dio “che viene”, e che continuamente "rinnova la faccia della terra" (Sal. 104,30).
Pensando a tutto ciò... e volendomi oggi avventurare nella mission impossible di riassumere in poche righe il Darshan di Swami Roberto... io posso dire, a fronte di una quasi ventennale esperienza diretta, che si tratta per me dell'irrinunciabile “appuntamento con Dio”, nel quale l'Eterna Parola mi guida a riconoscere l'opera incessante di “Colui che fa nuove tutte le cose”... e stimola il mio intelletto e la mia coscienza a non accontentarsi della consuetudine... mantenendoli dinamicamente aperti al “sempre nuovo” del Signore “che viene”.
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