venerdì 5 febbraio 2010

Tre Monaci Ramia al Villaggio della Gioia (Parte 5^)

(Testo tratto dal nostro libro "Il Villaggio della Gioia, appunti di vita di Baba Fulgenzio")

Il pranzo a Mikoceni si svolge in tempi ridottissimi.
Baba Fulgenzio freme all’inverosimile per poter essere subito al Villaggio. Noi lo seguiamo salendo con lui nel fuoristrada mentre don Leone va ad aspettare i bambini e le suore alla stazione.

"Sarà un pomeriggio da consegnare alla storia" − dice padre Fulgenzio − "e ci tengo proprio che voi di Anima Universale, con telecamera e macchine fotografiche, possiate immortalare ogni momento".
Messosi alla guida, padre Fulgenzio ci «costringe» ad una nuova toccante immersione nel suo cuore.
La sua voce cattura la nostra attenzione, trasmettendoci storie di vita vissuta, aneddoti, lampi di grande umanità.
Ad un certo punto il suo impeto si affievolisce un po’: ormai siamo vicini al cancello del Kijiji cha Furaha e quella sua breve pausa di riflessione ci fa comprendere che con i suoi pensieri lui è già entrato.
Trascorrono veloci alcuni altri minuti e finalmente parcheggiamo all’interno del Villaggio.

Le ore trascorrono lente: passano le tre, poi le quattro del pomeriggio, ma i bambini non arrivano e di loro non si hanno notizie. Fin quando don Leone, in attesa alla stazione, finalmente li vede sopraggiungere e così racconta:
"Attesi, giungono i primi bambini ospiti che, con due suore passioniste, aprono la prima casa-famiglia. Li accogliamo nella caotica stazione dei bus, dopo un viaggio di mille kilometri, stanchi ma sorridenti. Scendono da un bus dove la lista dei passeggeri sembra interminabile, le valigie ammassate sul tetto, in mano quanto basterebbe per un mercato del mercoledì in generi di varia natura.


È già sera e l’ingresso al Villaggio rasenta la semplicità provocante: ciascuno ha per mano un bambino, scrutando nei grandi occhi nascosti nel buio dei volti i sentimenti che emergono".




«Karibuni», benvenuti; non conosciamo che pochissime parole in swahili, ma in fondo neanche servirebbero.
A parlare è il linguaggio del cuore, che i presenti esprimono in improvvisati canti di giubilo, sorrisi, volti radiosi di felicità.
Noi adulti sembriamo i bambini, tanto è l’entusiasmo, il frastuono e l’allegria mescolata a lacrime di commozione nell’accogliere quei fanciulli.


Un gruppo di volontari e le suore di Santa Gemma si attivano prontamente in cucina per preparare una cena che consenta ai dodici piccoli e alle tre suore passioniste di rifocillarsi.
Nel giro di mezz’ora eccoli seduti ai tavoli dell’ostello, per consumare la loro prima cena al Villaggio.
Suor Isabel e le sue consorelle accudiscono i più piccoli, imboccandoli per farli mangiare, mentre i più grandicelli già si arrangiano, soddisfatti della loro indipendenza. Hanno occhi vivacissimi, dai quali tracima una meravigliata gioia.



Con telecamera e foto cerchiamo di riprendere al meglio ogni attimo, attenti a non disturbare l’intimità di quei momenti irripetibili. È l’inizio di una storia che ci auguriamo ricchissima di consolazione per tanti fanciulli d’Africa che qui potranno riscoprire la speranza...
La cena corre via alla svelta.
La giornata è già stata lunga a sufficienza ed è giunta l’ora di andare a dormire.



L’ingresso nella casa-famiglia è un fragore di esclamazioni stupite e allegre, e in un lampo i bambini prendono confidenza con il nuovo ambiente. Dopo pochi minuti ci sembra che siano sempre vissuti lì.
Il Baba, da buon papà, li accompagna uno per uno a sistemarsi nella propria brandina, in camere semplici e funzionali; noi, in punta di piedi lo seguiamo, lo filmiamo, «rubiamo» quante più immagini possibili.
Al di là di quanto si sta imprimendo su cassette e pellicole, la registrazione più bella è quella che stiamo facendo dentro di noi: quegli attimi di felicità incidono indelebilmente il nostro animo.
La vivacità, le grida e gli schiamazzi dei bimbi che corrono tra le camere e i corridoi, sono musica celestiale per le orecchie di padre Fulgenzio, che assapora intensamente momenti lungamente immaginati. La sua ispirazione prende ora concretezza dopo una gestazione travagliata, nella quale con il «solo» sostegno della Fede in Dio ha saputo superare ogni sorta di ostacolo. Lui ha ideato, pianificato e lottato, ha sopportato difficoltà enormi, che mai lo hanno fatto vacillare nella determinazione e nella perseveranza. Adesso, quei piccoli bambini africani che si stanno sistemando nelle brande portano nel Villaggio la gioia vissuta. Loro sono i primi, il leggiadro e vivace annuncio dei tanti che qui potranno riconciliarsi con la vita, sostituendo l’abbandono con l’opportunità di un’esistenza dignitosa.

Eccoci pronti per tornare in città; saliamo sul furgone e percorriamo sentieri dissestati che si incuneano in poveri villaggi, avvolti da fioche luci che illuminano il crepuscolo. Sono case di fango pulsanti di vita, dove le fiammelle di tante candele sopperiscono alla mancanza della corrente elettrica. C’è un alone di luce ovattata che avvolge quei gruppuscoli sparsi di capanne. Sarà l’emozione che ancora ci pervade, sarà che non siamo abituati a questa atmosfera quasi surreale, ma la luce che filtra dalle rudimentali aperture intagliate nelle pareti di paglia e terra, emana un calore di altri tempi, a noi ignoto. Ci fa pensare a persone intente a consumare un pasto frugale, ci fa intravedere gruppi familiari numerosi, riuniti nell’unica stanza a scambiarsi vicendevolmente quel calore umano talvolta raro nelle moderne case della società tecnologica. In questi giorni di Epifania, sembra che ciascuna di quelle misere capanne sia il luogo più degno nel quale adorare la nascita di Gesù nella martoriata terra d’Africa. Tutto sembra un presepio vivente, e al Villaggio della Gioia questa sera il Cristo è venuto a trovarci attraverso quei dodici teneri pargoli. Non siamo stati noi ad andare ad adorarLo; è Lui che ci è venuto incontro.

(Fine 5^parte - Continua)

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